Accendo la doccia e non aspetto nemmeno che l’acqua si faccia tiepida, la foga mi fa finire contro i vetri, che chiudo con rabbia, nel mentre il tubo di rame, schiacciato dalla mia schiena mi lascia una bruciatura che non sentirò perché le mie mani sono già a grattarmi ossessivamente, anche quando il sapone finisce, cercando di togliermi di dosso quel putridume che ha investito la mia anima e che dannazione non riesco a far finire nello scarico.
A che pro Alessandro? A che pro
mi chiedo, nel mentre mi ritrovo seduto nel piatto della doccia che si sta
riempiendo perché ho mezzo culo che occlude lo scarico… a che pro creare quello
che a tutti gli effetti, dai personaggi allo sfondo, dagli avvenimenti ai
riferimenti storici, fino ad arrivare agli intrecci narrativi, è un capolavoro?
A che pro se poi ferisci i tuoi lettori?
A che pro se poi ferisci i tuoi lettori?
Perché Alessandro, tu l’hai fatto volontariamente, questa volta sì, ammettilo: hai preso un periodo, la Milano da bere, hai preso comparse umanamente inadatte a vivere (anche se colte da apparente moto ascensionale), le hai obbligate a servirti su di un palcoscenico che nulla ha da invidiare alla tragedia greca e hai parimenti obbligato il lettore, rapendolo pagina dopo pagina, a seguirti direttamente all’inferno.
E il tuo inferno, magistralmente
affrescato, è di quelli che toccano le corde più nascoste dell’anima e ti fanno
sentire quella sensazione di paradiso incrinato, di dannazione consapevole, figlia
non soltanto di autocelebrazione, ma piuttosto di un mero calcolo: tra il
rimanere digiuni e perire, la scelta della Mela è l’unica opzione che l’occhio
ammorbato dalla televisione, dai media di massa e dalla “carriera a tutti i
costi” può concepire.
La mela è tutto perché è l’unica cosa che si vede e si
vende.
I tuoi personaggi non vogliono
morire, lo si sente, si percepisce la loro lotta per vivere, eppure sembra che
calcolino meticolosamente come lastricare la propria strada verso la
dannazione. Ecco, forse questo è poco noir, o lo è all’essenza più piena, non
so, ci devo ancora riflettere. Il tuo noir, infatti, non racconta la realtà
lasciando che sia quello che spesso per propria natura è, cioè un disastro. No,
il tuo noir, sembra più un plastico, un labirinto per cavie, che tu rapisci
dalla realtà e piazzi dentro per vedere
l’effetto che fa.
Vengo anch’io? Certo… se mi obblighi.
Ecco, lo dico, chissenefrega di queste considerazioni Alessandro, perché sotto il fuoco amico ci devo essere io? Spiegami...
Perché ora, qua, a carponi sotto una doccia
che non cancella lo sporco che mi hai gettato addosso, devo far parte di questo
dannato plastico che avvolge la mia carne e non
se ne va via come quando ti sporchi le mani di grasso di motore?
Un pugno in pancia. Un vero pugno
in pancia. E discutere qui di personaggi, trama, intrecci e canovaccio sarebbe
come stare a contare le nocche della mano che ti sta spappolando tutto dentro e
che non accenna, per 200 e passa pagine, a smettere (e se si ferma sai che non
potrà che riprendere, peggiorando).
Ti sembra possibile recensire un libro così, Alessandro?
No, ma ti sembra anche il caso di
scrivere un’opera così devastante? Mi chiedo, vi chiedo.
La risposta che vi darete include
anche quella se ne vale la pena o meno di acquistare questo libro.
Sta a voi, ma sappiate che l’acqua non cancella ciò che Bastasi ha creato.
Per nulla.
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