Giorgio Scerbanenco - L'antro dei filosofi





Un fiume, una macchina rovesciata, un corpo carbonizzato e un'altro scivolato chilometri a valle portato dalla corrente. Sullo sfondo una famiglia da brividi: gli Steve, due fratelli, una sorella e un padre, praticanti della filosofia morale puritana più estrema, con tanto di confessione comune dei peccati quotidiani, alla stessa ora, dopo cena.

Questo è l'aperitivo dell'ennesima perfezione targata Giorgio Scerbanenco, un complimento che potrebbe apparire stucchevole se si contano le volte che l'ho ripetuto su queste pagine, ma credetemi, è la pura verità.

L'antro dei filosofi, romanzo del 1942 di quello che sarebbe diventato nei decenni successivi il padre del noir italiano, è un giallo incredibilmente sorprendente, affascinante, complicato tanto da non permettere al lettore d'arrivare, come spesso succede, ad immaginare la fisionomia dell'assassino in anticipo.

Protagonista dell'indagine, l'archivista della polizia di Boston, Arthur Jelling: delicato, pudico, gentile, amante delle indagini psicologiche (ragazzi, siamo solo nel 1942, brividi per l'idea!). In pratica la versione dolce e profondamente umana di quel Duca Lamberti che farà di Scerbanenco il padre del genere "nero".

Qui il colore invece è il giallo.

Chi ha ucciso l'industriale Patricio Jerot e la moglie di uno dei puritani, Luciana Axel? Cosa ci facevano insieme sulla statale che corre di fianco quell'oscuro fiume? Cosa nasconde quell'assurda famiglia formato setta ascetica?

Non si capisce e non si capisce fino alle ultime pagine: tra una narrazione squisitamente scerbanenchiana (leggasi, i protagonisti della storia saltano fuori dalle pagine e ti sembra di vederli da quanto sono ben descritti) e l'immancabile aggrovigliarsi di una trama tipicamente "gialla", la responsabilità del delitto è difficile da assegnare, non ci si pensa, non come poi va a finire l'indagine.

La cosa ancor più bella de L'antro dei filosofi è la capacità dell'autore di creare emozioni senza dover per forza pigiare sull'accelleratore della violenza o della tragedia, come è spesso canone del racconto in salsa noir.

No qui è l'accennata anormalità a spaventare. Niente sangue, niente pugni, niente lamette da barba. L'afa, la maleodorante periferia di Boston e le macchie sui vestiti mal stirati della famiglia Steve bastano per non sentirsi mai a proprio agio, con un senso d'incertezza addosso.

E poi l'uomo, ancora lui, pallino di Scerbanenco. Ascoltato, studiato, sezionato, amato e anche un po' preso per i fondelli, sempre al centro del racconto, prima ancora del "dove" o del "perchè".

Il "chi" regna sovrano infatti, splendendo di un'umanità pazzesca.
Bella, brutta, sgraziata o docile che sia.

L'antro dei filosofi è umanità, in salsa gialla.

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