Mea culpa, mea maxima culpa: non riesco ad andare dove la massa va, non riesco a farmi piacere ciò che piace alla massa, non riesco ad essere, vestire, pensare come di solito la massa è, veste e pensa... è sempre stato nel mio DNA, comportamento spesso latore di una spocchiosità altezzosa che mi ha fatto perdere occasioni, momenti, persone che potevano arricchirmi.
Questa volta mi è andata bene.
Nello scaffale dei best seller, dei classici, delle opere che sono piaciute a tutti la mia mano ha prelevato, pagato e portato a casa questo Ritratto in seppia di Isabel Allende, vera e propria istituzione della letteratura internazionale e secondo tassello di una trilogia inaugurata con La figlia della fortuna e conclusasi con La casa degli spiriti.
Risultato? Aver scoperto in 267 pagine un vero e proprio gioiello, brillante in una maniera praticamente unica, quella che distingue il buon romanzo dal capolavoro.
Piccolo riassunto della storia: tre generazioni di famiglie incrociate, una bimba sanguemisto, due continenti, infinite culture e la storia di una ragazza che scopre il suo passato e il suo presente specchiandosi negli altri, in quel crogiolo parentale, il tutto vissuto anche attraverso l'obiettivo di una macchina fotografica, capace di fermare momenti, anime, sentimenti, significati altrimenti inafferrabili.
Ma non facciamoci fregare, Ritratto in seppia non è un capolavoro per la storia narrata in sé.
Ineffetti nulla di così particolare capita in queste pagine, pochi colpi di scena, pochi salti mortali, pochi picchi, ma piuttosto una costante pianura tendente alla collina, dolce, anche nelle parti più tragiche.
Isabel Allende ha confezionato un masterpiece per altri motivi: senza necessitare di una storia estremamente fuori dal comune e di personaggi sopra le righe (esclusa la strabordante nonna Paulina, ovviamente) l'autrice guida il lettore nel proprio stile, nella propria sublime capacità di spiegare, descrivere, intrecciare, analizzare con gusto, sobrietà e profondità l'esistenza dei suoi personaggi e delle loro vicende umane.
Un racconto che non annoia mai, che non ha bisogno della fantasia sapendosi sempre intrecciare proficuamente alle vicende storiche di un Cile, di un'Europa di un nord America di inizio '900 improvvisamente gettati nell'era moderna, tra resistenza, tradizione, voglia di innovare, frizioni culturali e angosce religiose.
Insomma, Ritratto in seppia è un capolavoro perchè in grado d'essere credibile in ogni aspetto. Dallo stile di scrittura, sublime, alla struttura del narrato, mai noioso, alla capacità di rimanere adeso alla realtà di vite comuni e per questo uniche.
Un libro da avere.
La massa qui ha ragione.
E io torto, per fortuna.
Questa volta mi è andata bene.
Nello scaffale dei best seller, dei classici, delle opere che sono piaciute a tutti la mia mano ha prelevato, pagato e portato a casa questo Ritratto in seppia di Isabel Allende, vera e propria istituzione della letteratura internazionale e secondo tassello di una trilogia inaugurata con La figlia della fortuna e conclusasi con La casa degli spiriti.
Risultato? Aver scoperto in 267 pagine un vero e proprio gioiello, brillante in una maniera praticamente unica, quella che distingue il buon romanzo dal capolavoro.
Piccolo riassunto della storia: tre generazioni di famiglie incrociate, una bimba sanguemisto, due continenti, infinite culture e la storia di una ragazza che scopre il suo passato e il suo presente specchiandosi negli altri, in quel crogiolo parentale, il tutto vissuto anche attraverso l'obiettivo di una macchina fotografica, capace di fermare momenti, anime, sentimenti, significati altrimenti inafferrabili.
Ma non facciamoci fregare, Ritratto in seppia non è un capolavoro per la storia narrata in sé.
Ineffetti nulla di così particolare capita in queste pagine, pochi colpi di scena, pochi salti mortali, pochi picchi, ma piuttosto una costante pianura tendente alla collina, dolce, anche nelle parti più tragiche.
Isabel Allende ha confezionato un masterpiece per altri motivi: senza necessitare di una storia estremamente fuori dal comune e di personaggi sopra le righe (esclusa la strabordante nonna Paulina, ovviamente) l'autrice guida il lettore nel proprio stile, nella propria sublime capacità di spiegare, descrivere, intrecciare, analizzare con gusto, sobrietà e profondità l'esistenza dei suoi personaggi e delle loro vicende umane.
Un racconto che non annoia mai, che non ha bisogno della fantasia sapendosi sempre intrecciare proficuamente alle vicende storiche di un Cile, di un'Europa di un nord America di inizio '900 improvvisamente gettati nell'era moderna, tra resistenza, tradizione, voglia di innovare, frizioni culturali e angosce religiose.
Insomma, Ritratto in seppia è un capolavoro perchè in grado d'essere credibile in ogni aspetto. Dallo stile di scrittura, sublime, alla struttura del narrato, mai noioso, alla capacità di rimanere adeso alla realtà di vite comuni e per questo uniche.
Un libro da avere.
La massa qui ha ragione.
E io torto, per fortuna.
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