Giorgio Scerbanenco - I ragazzi del massacro





"Vai dove ti pare, ma da nessuna parte precisa" le disse. Le circondò le spalle con un braccio, c'era quella domanda che lo innervosiva: perchè doveva essere contento che una feroce assassina come quella donna, fosse viva, invece che morta? Viva, invece che scomparsa dalla faccia della terra? Perchè?
Doveva chiederlo a Livia, a Livia Ussero, la sua Minerva personale e privata. "Senti, perchè," cominciò a spiegarle. Lei si sarebbe appassionata al problema".

In queste poche righe si racchiude lo spirito immenso di un'opera noir: sembra non esserci alcun senso al male, ma c'è. Sembra non esserci alcuna spiegazione al male, ma c'è. L'uomo da solo (come poi è ogni esistenza nella Milano scerbanenchiana) non può che generare mostri (compreso sé stesso) e ha bisogno, per trovare un senso, d'affidarsi alla propria Minerva, una minerva che però - e qui ci si riallaccia al tipico copione letterario - non dona una risposta leggibile al lettore lasciandolo necessitante, assetato e per questo malinconicamente affascinato.

Con I ragazzi del massacro concludo la mia panoramica sulla serie dedicata al medico/poliziotto Duca Lamberti.

Cosa posso dire se non d'essere stato al cospetto dell'arte sublime di raccontare l'essenza di una città (che solo apparentemente Scerbanenco deforma), l'essenza di un'infinità di esseri umani (che solo apparentemente vengono dipinti esagerando) e l'essenza di un senso della vita che non può che essere ricerca continua condita da una meta sempre di là da venire.

Anzi, sotto un certo punto di vista mi piange il cuore sapere che di Duca Lamberti non sentirò più parlare, che la sua super premiata serie si sia conclusa proprio con quel masterpiece chiamato Traditori di tutti.

Ma è infondo anche il senso del mondo noir di Scerbanenco: io avevo bisogno di lui per leggere il mondo, ma l'ultima pagina non contiene mai il compimento del proprio bisogno.

Scerbanenco se n'è andato. Con lui il suo Duca Lamberti.
Questo, ironia della sorte, tocca oggi, non più nella finzione, un milanese, io.

Il cerchio (apparentemente) si chiude.

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