Carlo Lucarelli: Carta bianca





Un orologio senza lancette: l’unica immagine che mi viene in mente chiudendo questo libricino intitolato Carta Bianca, prima fatica datata 1990 di Carlo Lucarelli, quel Lucarelli, quello del “ma questa è un'altra storia” detto a bassa voce nello studio televisivo del suo Blu Notte.

Un noir di debutto, un libro d’assaggio, poche pagine che l’editore Sellerio vuole ricordare nella prefazione come una scoperta dell’intuito quasi arreso al fascino di quello scrittore che vestiva di nero o marrone (quando non andavano di moda), portava il pizzetto (idem con patate) e viveva in un castelletto.

E sono pagine che più che essere ambientate nella guerra finiscono per crearla nel nostro profondo: una battaglia d’immaginazione (sfidare il lettore a calarsi nei luoghi della Repubblica di Salò), una lotta contro il pregiudizio (De Luca, il protagonista, è un fascista proveniente dalla polizia repubblichina) e un conflitto tra l’umanità che leggiamo negli occhi cartacei di questo personaggio e la voglia di salvarlo da quel marasma storico del tutto (o forse no, almeno in questo romanzo) disumano.

La storia, ovviamente, c’è ma sembra slittare in secondo piano. Vogliamo capire come va a finire l’omicidio di un gerarca tedesco pugnalato a morte e evirato, però alla fine ci si scopre perennamente rapiti da questo poliziotto che ricopre tutte le piccolezze di un eroe del genere noir.

Con lui stiamo fissi per tutta la notte a fissare il soffitto presi da insonnia. Con lui corriamo da una parte all’altra provando l’inquietudine umana di chi non si sente mai sazio. Con lui, forse, vorremmo metterci al sicuro dal tracollo di quella Repubblica destinata allo sfacio.

Un piccolo libro, un piccolo racconto che veicola qualcosa di immenso.
Dalle pagine di una storia all’incontro con le contraddizioni umane.

Accettate la sfida?

Commenti