Marco Ghizzoni - Il cappello del maresciallo





Pesantezza, so che sarò pesante, anche troppo, ma come diceva la mi nonna "scusate, compatite, state zitti e non lo dite".

Ho preso questo Il cappello del maresciallo del debuttante Marco Ghizzoni  per semplice curiosità: era esposto in bella mostra, la copertina aveva pastelli interessanti e non so per quale motivo vedendo su di essa un cappello da carabiniere credevo d'avere di fronte un poliziesco di matrice gialla, cosa che avrebbe appagato il mio mood sbirresco di fine 2014.

Invece mi sono proprio fatto fregare, da me stesso, perché Il cappello del maresciallo è un romanzo-commedia-fiction, se mi passate la definizione poco ortodossa per un libro.

Sì, certo, il tutto dotato di caro defunto in circostanze misteriose, ma con un carico da dieci e il piede pigiato a tavoletta sul grottesco impersonificato da un paesino della provincia di Cremona (magistralmente dipinto dall'autoctono Ghizzoni) dove tutti gli abitanti sembrano essere però vittime o carnefici di pulsioni sessuali in stile La dottoressa ci sta col colonnello e con vite che sembrano un mix tra Don Matteo (mi spiegate perché il maresciallo deve essere sempre un italianotto?) e le teorie di Adam Kadmon (quandomai un cadavere può essere sepolto in un parco giochi, in mezzo ad un paese, con un suolo in terra battuta, senza dare nell'occhio?).

Però devo stare tranquillo e non agitarmi perché non si può mica essere così rompiballe.

Ghizzoni è un debuttante e devo dire che la penna ce l'ha e non solo quella perché il suo racconto è molto dinamico, veloce e intrigante, anche se forse un po' troppo, come dicevamo, sessocentrico con la realizzazione di un gruppo di protagonisti/comparse che si spostano, su di uno scacchiere discretamente attualizzato, rapiti da voglie insaziabili, sogni umidi e l'impulso irrefrenabile all'esibire virilità (donne comprese).

C'è un cadavere di un artista locale trovato con braghe calate in una zona popolata da prostitute. C'è un maresciallo che, controvoglia, appena tornato dalle ferie, vorrebbe scoprire più la vedova del defunto che qualcosa su quella strana morte. Poi c'è un becchino che vorrebbe anche lui un pezzo della vedova e per farle un piacere sposta una salma del cimitero facendo un patatrac assieme al nipote del macellaio, scorbutico e milanista sfegatato.

Sullo sfondo?

Ah, sì, il caso cerca di essere risolto dal brigadiere Mancuso e dall'appuntato Cannizzaro che però (che strano) si perdono dietro una donna, questa volta, bisogna essere sinceri, non modellata sulle fattezze di una pornobomba in stile Edwige Fenech.

Il cappello del maresciallo è insomma una commedia degli equivoci che vuole dipingere una provincia caratterizzata da una pruriginosa italianità che cerca di vivere alla giornata, truffaldina, egoista e sì gran lavoratrice,  ma le gambe, ma le gambe, a me piacciono di più.

Come dite? E' una perfetta diapositiva della nostra nazione e di noi balocchi tricolori?

Forse avete ragione, per questo, forse, dobbiamo complimentarci con il debuttante Ghizzoni, chiedendogli, anzi, facendogli promettere che la prossima volta però si dedichi ad un'opera meno ormonica, meno chiacchiere e più distintivo, come risarcimento da questa abbuffata testosteronica.

Consigliato?

Perché no. Svagante direi.

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