Il peggior giudice





Attenzione a ciò che si desidera, perché un giorno il sogno potrebbe diventare realtà.

Mi ero promesso da tempo di buttare giù due righe a proposito non tanto del gesto clamoroso di Mario Monicelli, ma piuttosto riguardo il bailame mediatico che successivamente si è prodotto intorno al caso.

Credo che giudicare moralmente un gesto così tragico, nonostante la mia avversità all'idea di mettere fine volontariamente alla propria vita, sia ingiusto per la non possibilità di scivolare all'interno della testa di quell'uomo piegato, seppur in tarda età, da una malattia terminale.

Come direbbero gli anglosassoni (oltre che i Depeche Mode), sarebbe forse il caso che noi tutti provassimo a “camminare nelle scarpe altrui”, o quantomeno trovassimo il tempo di non abbandonare (e questo poi è la vera differenza) chi la vita ha messo in condizione di trovarsi con delle scarpre troppo strette per camminare sereno.

Invece no, si sono sprecati elogi al suicidio, come se fosse la massima espressione della libertà umana, senza contare che l'uomo, in stato di prostrazione psichica e fisica, non potrà mai essere oggettivamente e lucidamente in grado d'operare un tale gesto “liberamente voluto”.

Si è liberi quando la tua vita è felice, quando hai tutto da perdere e allora scegli d'abbandonare questo prezioso “tutto”, non quando non hai più niente, neppure la speranza di sopravvivere alla malattia. Il gesto estremo di un malato terminale è “condizionato”, non di certo “libero”.

Ma torniamo al detto d'apertura (questa volta cinese, però tanto in voga negli Stati Uniti) che dice beware what you wish for, you will get it.

Sì, perchè come detto in precedenza, il problema è di quella cultura strisciante che oramai pervade il comparto comunicativo della nostra società e da lì penetra nelle menti dei cittadini, anche quelli che si sentono più al sicuro, protetti da una presunta scolarizzazione.

La parola d'ordine è unica: credere che la vita che non combacia con i miei canoni non sia degna d'essere vissuta.

E così, prima ancora d'arrivare a temi giganteschi come l'eutanasia, ecco che il nostro avversario politico, solo per essere tale, diventa il diverso da abbattere, il diverso che non ha diritto d'esistere, colui che, per le sue posizioni, è automaticamente “nemico”.

Nemico è il padrone di lavoro perché fa i suoi interessi. Nemico è l'immigrato con le sue strane usanze. Nemico è il vicino di casa perché non si comporta come mi comporterei io. Nemico è chi vive un'altra religione e nemico è anche chi ha una vita sessuale che non è la mia.

Questo elenco potrebbe rasentare la banalità se però non si arrivasse ad una domanda basilare quanto destabilizzante: cosa succederebbe se tutto d'un tratto il nemico di noi stessi fossimo proprio noi?

Cosa succederebbe se, per i casi sfortunati della vita, non fossimo più quello che eravamo, non combaciassimo più con quell'ideale di perfezione che sentivamo nostro tanto da sentire di conseguenza come “nemici” chi non aderiva a quello schema?

Ecco che l'uomo si fa nemico per se stesso arrivando a dar carne al vero senso, secondo me, della frase di Gesù Cristo: Non giudicate, per non essere giudicati; perché con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati voi e con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi (Mt 7,1)

Il problema è che il giudice questa volta non si corrompe.
Siamo noi stessi.
In carcere senza passare dal Via.

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